Ragtime
Il
piccolo bistrò del quartiere, cresciuto a ridosso dei vecchi
macelli, attirava il popolo della notte che celava la malinconia
dietro le risate nervose e i gesti affettati. Seduti ai tavolini di
marmo che ricordavano i banconi dove un tempo si squartavano i
vitelli, uomini e donne centellinavano la birra alla spina e
scambiavano qualche parola con gli sconosciuti seduti accanto.
Al
termine del primo boccale, le frasi scivolavano morbide sotto alle
camicette attillate, lungo i fianchi delle donne che facevano vibrare
i polpacci abbronzati sotto alle gonne leggere. Gli uomini
fumavano sigarilli che profumavano di rum e di cannella e il fumo si
inanellava in spessi riccioli che rimanevano sospesi nell’aria
immobile e umida.
Le
femmine ridevano e aprivano le labbra come calici, poi le serravano
strette ed era una sfida, tutto quell’aprire e chiudere. I
camerieri facevano un nuovo giro, posavano sui tavolini i boccali
umidi con la schiuma solida che traboccava dai bordi e ritiravano
quelli vuoti.
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